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Split payment IVA: le regole in vigore fino al 2026

La Commissione Europea ha esteso il regime dello split payment fino a giugno 2026. Tuttavia, dal 1° luglio 2025, ci sarà una modifica importante: le società quotate nell’indice FTSE MIB saranno escluse da questo regime. Vediamo le regole attuali e le novità previste.
Split payment IVA: le regole in vigore fino al 2026
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Split payment IVA: proroga al 2026

Lo split payment, o scissione dei pagamenti, è un meccanismo fiscale, introdotto in Italia nel 2015 e disciplinato dall’art.17-ter del DPR 633/1972, che viene applicato principalmente alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi alla Pubblica Amministrazione. Tale meccanismo prevede che, in determinati casi, l’IVA non venga versata dal fornitore di beni o servizi al momento della fatturazione, bensì direttamente dall’acquirente.

Nonostante il nostro Paese si fosse impegnato ad eliminare gradualmente lo split payment, ha chiesto al Consiglio Ue la possibilità di prorogare questo meccanismo che, insieme alla fatturazione elettronica, si è rilevato particolarmente efficace. La Commissione europea ha approvato la proroga, fino al 30 giugno 2026. Tuttavia sono state previste delle novità per quanto riguarda i soggetti interessati dalla normativa. 

Infatti, a partire dal 1° luglio 2025, il regime dello split payment subirà una modifica significativa con l’esclusione delle società quotate nell’indice FTSE MIB dal suo campo di applicazione. Questa esclusione fa parte di un processo graduale che mira a ridurre l’impatto del meccanismo. La proroga fino al 2026 garantirà tuttavia che il sistema continui a operare per la maggior parte dei soggetti pubblici, permettendo un periodo di transizione per le società interessate dalla rimozione progressiva della misura.

Di seguito, vediamo come funzionano le attuali regole sullo split payment e le novità previste.

IVA Split payment: le novità introdotte

Con la decisione n. 2023/1552, il Consiglio Ue ha autorizzato l’Italia a prorogare, in ambito Iva, l’applicazione dello split payment fino al 30 giugno 2026, seppure con alcune novità che entreranno in vigore gradualmente.

Fino al 30 giugno 2025 lo split payment continuerà ad applicarsi agli stessi soggetti previsti attualmente. Si tratta:

  • delle Pubbliche Amministrazioni;
  • degli enti pubblici economici e fondazioni;
  • delle società controllate o partecipate dalla PA;
  • di enti e fondazioni;
  • di società quotate inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana.

Sono esclusi gli enti pubblici gestori di demanio collettivo per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi afferenti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico.

A partire dal 1° luglio 2025 le regole cambieranno, poiché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a favore delle società quotate in borsa non saranno più comprese nel campo di applicazione della misura.

Sul sito web del Ministero dell’Economia e delle Finanze è possibile reperire gli elenchi delle società obbligate, aggiornati al 2024.

Split Payment PA: il suo funzionamento

Lo split payment si applica quando il fornitore di beni o servizi emette una fattura nei confronti di soggetti della Pubblica Amministrazione (PA), società controllate dallo Stato o altri enti specificamente indicati dalla normativa. Invece di ricevere il pagamento totale, comprensivo di imponibile ed IVA, il fornitore riceve solo l’importo netto (imponibile), mentre l’IVA è versata direttamente all’erario dall’acquirente. Questa modalità si differenzia dall’ordinaria gestione dell’IVA, in cui l’imposta viene riscossa dal fornitore e versata successivamente allo Stato.

Il meccanismo si affianca ad un’altra misura, l’inversione contabile o reverse charge: anche questo meccanismo prevede che, invece di essere il venditore a riscuotere l’IVA e a versarla allo Stato, sia l’acquirente, nel caso in cui si tratti di un soggetto passivo IVA, ad assolvere direttamente questo obbligo. Nonostante questa similitudine, i due meccanismi prevedono ambiti di applicazione e metodologie di applicazione diversi: in particolare perché lo split payment si applica solamente ai rapporti con enti della pubblica amministrazione o con società specifiche. 

Split payment pubblica amministrazione: operazioni alle quali si applica

Lo split payment non si applica:

  • nei casi nei quali la PA non effettua pagamenti di corrispettivo nei confronti del fornitore. Si tratta delle operazioni rese alla PA in relazione alle quali il fornitore ha già nella propria disponibilità il corrispettivo che gli spetta e che trattiene, riversando alla PA committente un importo netto;
  • nei casi di prestazione di servizi rese dai professionisti e da coloro i cui compensi sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a ritenuta a titolo di acconto;
  • nel caso di operazioni soggette a regimi speciali che non prevedono l’applicazione dell’IVA in fattura (come nel caso dei contribuenti forfettari);
  • nel caso di cessioni di beni o prestazioni di servizi per i quali i cessionari/committenti sono debitori d’imposta (Reverse Charge).

Fatturazione Split Payment: le regole

Quando si emette una fattura split payment, il fornitore di beni o servizi deve indicare l’IVA, ma non la incasserà: l’importo dell’IVA sarà infatti versato direttamente all’erario dall’acquirente.

La fattura deve riportare l’imponibile e l’IVA, insieme alla dicitura obbligatoria “operazione soggetta a split payment” o “scissione dei pagamenti ai sensi dell’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972”. L’importo che verrà effettivamente pagato al fornitore sarà solo quello netto, escluso l’IVA.

Le aziende che emettono fatture split payment devono comunque includere l’IVA nei registri contabili. Tuttavia l’IVA indicata nella fattura non entra nella liquidazione periodica del fornitore di beni o prestatore di servizi poiché la PA corrisponde al fornitore il solo imponibile mentre versa direttamente all’erario l’IVA dovuta.

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