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Il PCT Processo Civile Telematico

Dopo una sperimentazione iniziale, dal 2014 è obbligatoria la trasmissione digitale degli atti
Un giudice alla scrivania davanti a un portatile e con un martelletto di legno lavora a un processo civile telematico.
Tempo di lettura: 3 minuti

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Il PCT Processo Civile Telematico ha avviato una positiva inversione di tendenza nei problemi che affliggono la giustizia civile italiana. Tra questi, eccesso di burocrazia e lentezza dei processi sono i più noti. Una situazione a rischio sanzioni Ue e che rappresenta un freno per la crescita del Paese, cui serve un sistema giuridico efficiente e veloce

Che cos’è il PCT Processo Civile Telematico e come funziona?

Il PCT Processo Civile Telematico introduce tecnologie e logiche digitali nel tradizionale processo civile. Tra le varie cose, la tecnologia digitale rende possibile la consultazione online del fascicolo processuale, lo scambio di comunicazioni telematiche, il deposito degli atti. L’obiettivo è rendere più veloce ed efficiente il sistema giudiziario italiano.

Le procedure di invio, deposito e consultazione degli atti e dei fascicoli avvengono tramite il sistema Polisweb. Per accedervi, inizialmente era prevista l’iscrizione a dei Punti di accesso (Pda) censiti dal Ministero della Giustizia. In seguito tale iscrizione non è stata più obbligatoria. Oggi basta disporre di un indirizzo Pec per inviare e riceve messaggi validi legalmente.

Per operare nel PCT occorre, inoltre, disporre di una firma digitale: infatti, i documenti e gli atti scambiati nell’ambito del processo civile telematico devono essere firmati digitalmente. La firma digitale garantisce l’autenticità e l’integrità di messaggi e documenti scambiati.

Infine, gli atti processuali vanno redatti seguendo regole precise e spediti tramite una busta elettronica o telematica. Questa consiste in un file crittografato contenente i documenti e gli atti digitali da inviare al tribunale. La busta telematica va redatta usando un programma specifico, chiamato redattore di atti. Anche il file della busta elettronica deve essere firmato digitalmente.

Da quando è in vigore il PCT Processo Civile Telematico

Le norme che sono alla base del processo civile telematico partono dalla Legge 15 marzo 1997, n. 39 (c.d. legge Bassanini 1), poi sviluppata con il DPR 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti).

Dopo una sperimentazione inizialmente prevista nel 2004, ma poi slittata di due anni, il PCT entra in vigore a Milano nel 2007. Il processo civile telematico è poi esteso ad alcune grandi città italiane e diviene via via la regola su tutto il territorio nazionale.

Gli interventi normativi tesi a disciplinare il PCT sono stati numerosi e spesso tali da creare una stratificazione legislativa. Ciò ha finito con l’andare in contrasto con l’obiettivo iniziale di semplificare e velocizzare la macchina giudiziaria italiana.

Il vero punto di svolta arriva con la Legge di Stabilità 2013, che prevede la trasmissione in formato digitale di documenti e atti processuali dal 30 giugno 2014. A partire da questa data l’utilizzo degli strumenti telematici è obbligatorio per tutti gli attori del processo civile. Pertanto, giudici, ufficiali giudiziari, personale di cancelleria, Avvocatura dello Stato, avvocati, notai e altri privati coinvolti hanno dovuto imparare l’uso di queste tecnologie.

Gli effetti del PCT sui processi pendenti

In base ai dati del Ministero della Giustizia, tra il 2014 (anno dell’introduzione del PCT) e il 2020 gli atti depositati telematicamente sono aumentati costantemente.

Per quanto riguarda gli avvocati e i professionisti, si è passati dagli 893.265 atti del 2014 agli oltre 12,5 milioni di atti nel 2020. Gli atti digitali depositati dai magistrati nello stesso periodo sono passati da poco meno di 900mila a 8.755.209.

La trasformazione digitale del processo civile spiega, in parte, il risultato di un altro studio del Ministero. Lo studio analizza l’andamento dei procedimenti pendenti nei tribunali italiani per lo stesso periodo 2014-2020. Anche in questo caso i dati sono confortanti.

Per ciascun anno le Corti di Appello hanno concluso più processi di quelli avviati. Di conseguenza, il totale dei processi pendenti da smaltire è passato dai 356mila del 2014 ai 229mila del 2020.

Stesso trend anche per i tribunali ordinari, dove dal 2014 si concludono più processi di quanti se ne aprano. In sette anni le pendenze sono calate del 22%, passando da 1.923.513 di fine 2014 a 1.499.292 di fine 2020.

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